Myles Kennedy ai Magazzini Generali: un concerto da tutto esaurito

Myles Kennedy ai Magazzini Generali: un concerto da tutto esaurito


Doveva essere un concerto per pochi intimi e si è trasformato in una bomba da sold out ma, da un punto di vista psicologico, è stato proprio quello: un concerto per molti intimi, se la cosa può avere un senso (e ce l'ha).
Myles Kennedy ha riempito i Magazzini Generali di Milano con qualche candela, uno sgabello e le sue chitarre con la potenza che poteva avere Bob Dylan negli anni del flower power. Non parlo di musica, fra Dylan e Myles Kennedy le differenze di genere sono decisamente riconoscibili, ma di presenza scenica: se trascinarsi dietro una folla con solo sei corde e una cassa armonica è un'impresa degna solo dei grandi, possiamo avere la certezza che un posto in quel pantheon se l'è preso il signor Kennedy, e di diritto.
La fila che si assiepava fuori dai Magazzini Generali già da un'ora prima che il locale aprisse era di quelle che resistono senza problemi alla pioggia senza sciogliersi, fra magliette degli Alter Bridge (e un sacco di magliette dei Guns N'Roses) iniziano a spuntare anche le prime dedicate al frontman della band americana nel suo tour del primo album solista. Il disco, di per sé, inanella una serie di perle dietro l'altra, e non c'è molto di che stupirsi se una bella percentuale dei fan le sanno già quasi tutte a memoria.
 
Fa caldo, un caldo che rasenta il tropicale con un'umidità del 90%. Si appannano gli occhiali, è tutto un levarli, pulirli e rimetterli, ma è quel tipo di caldo che ti fa pensare con una puntina di orgoglio che, quando qualcuno ne parlerà, potrai pensare “ok, io c'ero” e ghignare soddisfatta. Alle sette e mezzo i Magazzini Generali sono già quasi pieni, e manca ancora un'ora e mezza all'ora X, il momento in cui il concerto inizierà, perchè non ci sono gruppi spalla: c'è solo mr. Kennedy, un palco essenziale e The year of the tiger. Quando le luci si abbassano, il momento sacro di ogni concerto, Myles Kennedy appare dalle quinte con la tranquillità di chi entra nel salotto di casa e c'è un momento in cui ti chiedi se si aspettasse tutta quella gente. Forse no, perchè per un millesimo di secondo pare che ci sia un “Oh, wow” che gli passa sulla faccia, ma è una roba talmente breve che forse me lo sono immaginato io. Se anche ci fosse stato, e non do per scontato di aver ragione (anzi), Myles Kennedy si dimostra il veterano della musica che è prendendo subito in mano le redini della situazione, attaccando con Devil on the wall e sparando subito una serie di cartucce che fanno si che il pubblico sia nelle sue mani, letteralmente. Fra pezzi da The year of the tiger e brani degli Alter Bridge trova posto anche Starlight, contenuta nel primo disco solista di Slash, ma ci sono momenti in cui ti rendi conto che essere li quella sera, cercarsi un posto dove dormire e fare una levataccia il giorno dopo sono stati la scelta migliore che potessi fare: la combo fra Wonderful life e Watch over you è uno di quelli, Life must go on è uno di quelli, Cry of Achilles è uno di quelli, ma i veri brividi lungo la schiena iniziano quando ti rendi conto che, con Love can only heal, Myles Kennedy ha scritto uno di quei pezzi che ti porterai dietro a vita. Non è solo la canzone ad essere davvero valida, è la reazione che scatena nella gente. Guardi giù dalla balaustra dei Magazzini Generali e ci sono persone abbracciate, gente che canta con la testa buttata all'indietro, braccia alzate. Sotto di me una coppia si bacia da tre minuti buoni, e mi chiedo se ogni tanto respirino pure, ma è il coro, Dio santo, quel coro da stadio che ti entra nelle orecchie e ti fa da battito cardiaco per tutto il tratto di strada che devi fare per tornare nel tuo letto.
 
E' profondamente umano, Myles Kennedy, e questa è una cosa in cui credo davvero. La faccia di chi si trova davanti il mondo e lo guarda sorpreso, per poi riuscire a portarselo dietro. La soddisfazione nel vedere che le persone erano li anche per lui, per il suo lavoro solista, e non solo per i meravigliosi pezzi degli Alter Bridge o Slash. La tranquillità con cui si mette a spiegare al pubblico che no, quella canzone non può suonarla, perchè “ha una tonalità diversa da come ho accordato la chitarra adesso, e se mi metto farla mi tocca farla tutta in falsetto e non è che sia una gran bella cosa”, le decine di plettri lanciati alla gente, l'attenzione che presta a tutto quello che gli gridano le persone fra la folla, e poi quando si mette a ridere e dice che a uno degli ultimi concerti “qualcuno ha urlato I WANNA HAVE YOUR BABIES! E io sono rimasto un attimo perplesso”. Fa delle facce, mentre suona, che non sono quelle di chi è su un piedistallo ma di chi è fra la sua gente, e ha deciso di farsi una risata e una suonata con loro, magari anche un po' imbarazzato da tutta l'attenzione. E si vede che è un fan della musica come te, me, e chi avevo accanto perchè alla fine si lancia in una cover di The Trooper degli Iron Maiden e dirige il coro del pubblico che canta il riff come un direttore d'orchestra.
 
Ma, fondamentalmente, chi riesce a portarsi dietro migliaia di persone con solo sei corde e la sua voce (meravigliosa, meravigliosa voce) forse ha qualcosa di più che umano. Forse, e dico forse, è un gradino più vicino agli dei. 
 
SCALETTA
Devil on the wall
Standing in the sun
Before tomorrow comes
Mars hotel
Addicted to pain
Starlight
Haunted by design
Life must go on
Blind faith
Losing patience
You will be remembered
Traveling riverside blues
World on fire
All ends well
Wonderful life/Watch over you
Year of the tiger

Love can only heal
The Trooper
Cry of Achilles
 

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