Nightguide intervista Drone126

Nightguide intervista Drone126


Un cortometraggio per presentare i tre nuovi singoli di Franco126, Pretty Solero e Ketama126: prodotti da Drone126, sono un unico videotrip dantesco in cui la Lovegang, collettivo di artisti spontaneo e fondamentalmente anarchico, presenta tre dei suoi nuovi lavori fra inferno, purgatorio e paradiso. Abbiamo parlato con la mente dietro la produzione dei pezzi, Drone 126.





Come è nata l'idea della Lovegang, e come sei riuscito ad organizzare tutto?
Il termine Lovegang è stato coniato da Pretty Solero e indica un colettivo di artisti che pur avendo una propria identità individuale collaborano in maniera completamente anarchica e spontanea. Siamo cresciuti insieme, e negli anni i nostri percorsi umani e artistici hanno finito per ingarburgliarsi talmente tanto da essere praticamente indscindibili. Mi piace pensare al mio disco come a una sorta di cronaca della strada che abbiamo percorso insieme, e per questo ho assunto il ruolo di "coordinatore" di questo progetto in particolare. Per il resto la Lovegang sarà sempre un organismo incontrollabile e imprevedibile, e qualsiasi tentativo di "organizzarla" è destinato a fallire.   


L'idea della Divina Commedia è stata usata in lungo e in largo ma mai così: in questa trilogia la Divina Commedia viene riadattata alla modernità, e diventa anche più facile da leggere e fruire. Come è nata l'idea di inferno, paradiso e purgatorio rappresentati in questo modo?
L'ispirazione dantesca è emersa durante il lavoro con Trashsecco, il regista dei tre video, ma in realtà non saprei dire chi l'ha suggerita per primo ne perchè; è stato un processo naturale. I classici come La Divina Commedia permeano l'immiginario collettivo e finiscono per influenzare un po' tutti, a volte persino in maniera inconsapevole. Dopo esserci confrontati sulla nostra rispettiva visione artistica e aver buttato giù il concept, il parallelissimo ci è sembrato lampante. È proprio questo l'aspetto più affascinante del processo creativo: le idee sono già nell'aria, la difficoltà sta nel coglierle e tradurle in realtà.  


Hai lavorato con gli artisti anche in senso compositivo? Come sono nati i pezzi?
La genesi di ognuno dei tre pezzi è stata diversa e in qualche modo emblematica dell'attitudine dei singoli artisti. Con Sean (Pretty Solero) le tracce nascono in maniera molto spontanea, spesso è questione di minuti. È come se non ci fosse confine tra il momento della scrittura e quello della registrazione, tutto è condensato in un'unica fiammata di espressività senza filtri. Con Ketama invece ci confrontiamo sopratutto sulla parte del suono. Abbiamo iniziato a produrre insieme e ho sempre sentito una grande affinità tra di noi da quel punto di vista. A volte è difficile confrontarsi con altri produttori, perchè esprimere a parole un'idea di suono non è semplice, ma lui ci riesce molto bene, e questo mi aiuta parecchio durante la realizzazione dei brani. Franco invece ha un approccio molto più meticoloso, è un perfezionista molto attento ai dettagli, non so neanche dire quante volte mi ha fatto interveninire su questo pezzo in particolare. Ovviamente questo approccio quasi maniacale porta anche a discussioni accese tra di noi, ma è un tratto caratteriale che rispetto molto e che ha spinto anche me a non considerarmi soddisfatto troppo presto.  


Il rap in Italia è passato da genere di nicchia all'essere diventato il nuovo mezzo espressivo preferito dai più: cosa ne pensi, e come ti fa sentire?
Se devo essere oggettivo c'è poco da dire: rispetto ai primi tempi in cui mi sono avvicinato a questo genere musicale, la scena è molto più forte. Ci sono sicuramente aspetti problematici nella maniera in cui internet, le piattaforme di streaming e I social network hanno ridisegnato l'industria musicale, ma per chi ne fa parte è come se non ci fossero più scuse: al giorno d'oggi chiunque realizzi un prodotto musicale veramente valido ha una possibilità concreta di farcela, e questo è un traguardo importante. Per quanto riguarda la mia esperienza soggettiva di questo fenomeno, il discorso è più contorto. Il passaggio da "controcultura" a "cultura di massa" non mi ha lasciato freddo, e per quanto sia consapevole del fatto che questa è la parabola di qualsiasi scena "underground", nel mio piccolo cerco di conservare quell'attitudine sovversiva che trovavo nei dischi da adolescente.  


Parliamo di te: hai studiato ingegneria del suono a Berlino, hai vissuto la sperimentazione in quella città, e poi hai deciso di tornare in Italia (e non è una decisione scontata). Cosa ti ha insegnato Berlino, e quali sono le differenze fra il sound italiano e quello che è in circolo lassù?
A Berlino ho frequentato una scuola di ingegneria del suono, che in realtà con la produzione musicale ha ben poco a che fare. Ai tempi volevo già fare musica, ma ero convinto del fatto che una solida preparazione professionale avrebbe fatto di me una persona migliore. Quando poi ho conosciuto il Tre (mio compagno di corso) questa convinzione si è sgretolata in un attimo, già dai primi mesi abbiamo finito per pensare molto più alla musica che alle lezioni. A volte ci facevamo rinchiudere negli studi della scuola per tutta la notte, solo per lavorare ai nostri pezzi. Per fortuna siamo riusciti a imbrogliare in quasi tutti gli esami e a diplomarci. È stato un periodo entusiasmante e devo molto al Tre che mi ha indirizzato parecchio nel mio percorso musicale. Ovviamente anche la scena musicale locale mi ha influenzato tanto, Berlino è la mecca della techno, che ha molto in comune con la trap a livello sonoro.  


A Berlino hai conosciuto Il Tre, Gemitaiz e Ketama, sembra quasi che una bella fetta della scena rap italiana si fosse spostata nel nord Europa. Sbaglio se la definisco una specie di fuga di cervelli?  
Guarda in realtà l'espressione fuga di cervelli è piuttosto calzante, nel senso che ognuno di noi in quella città ci ha lasciato un quantitativo di neuroni consistente. Qualcuno aveva anche preso seriamente in considerazione l'ipotesi di emigrare ma alla fine (a parte il Tre) stiamo di nuovo tutti qua, quindi non c'è da preoccuparsi, I nostri cervelli manomessi continueranno a far parte del patrimonio culturale di questo paese ancora per un bel po'.


Il rap è definito da molti un tipo di poesia, e credo ci sia molto di vero: tu che ne pensi?
Pur essendo un produttore sono molto appassionato al discorso dei testi, specialmente quelli in italiano. Sopratuttto con Franco abbiamo passato una parte sostanziosa dell'adolescenza a disquisire dello stile di scrittura di un rapper piuttosto che un altro, e anche oggi riflettere sui testi delle tracce che mi colpiscono mi piace quasi quanto l'ascolto vero e proprio. Credo che Franco mi darebbe ragione se dico che siamo dei nerd del rap in italiano e basta che un artista usi un vocabolo invece di un altro per cadere in disgrazia ai nostri occhi. il parallelismo tra rap e poesia credo sia evidente, forse neanche c'è un confine vero e proprio tra le due cose.   


Domanda che odiano tutti: saresti in grado di elencare i tuoi tre dischi preferiti, quelli che non possono mancare nella tua collezione?
Per evitare di starci a pensare per mesi limiterò il campo al rap italiano. In quell'ambito I dischi che mi hanno segnato di più sono Chi more pe mme dei Co' Sang, In the panchine di In the panchine, e Di Vizi Di Forma Virtu di Dargen D'amico.


Hai qualche consiglio per chi inizia a fare musica adesso?
In realtà no. La musica è una faccenda talmente soggettiva che difficilmente riuscirei a dire qualcosa di valido per tutti. Non credo di essere ancora nella posizione di dare consigli, il mio perscorso è appena all'inizio.

drone126, interviste

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