Intervista a Rosario Rito, autore del saggio “Labirinti 1. Funzione e destrezza soggettiva tra scontato e cogito”.
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21/11/2024 | Bookpress
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Rosario Rito è nato a Vibo Valentia nel 1958; affetto da paresi spastica sin dalla nascita, inizia a scrivere da giovanissimo affrontando spesso il tema della disabilità da diverse angolazioni. Tra le sue pubblicazioni si ricordano: le raccolte di poesie “Fratello” (1981), “Momenti” (1983), “Ciao Amico” (1999), “Fratello, ti confido i miei momenti” (1999) e “L'isola misteriosa” (2023), la commedia teatrale in tre atti “Sete di uguaglianza” (1994) e i saggi “Gesù il Pescatore” (Luigi Pellegrini, 2010), “Educarsi alla disabilità” (2021) e “Labirinti 1. Funzione e destrezza soggettiva tra scontato e cogito” (2024).
«Quali sono gli argomenti principali trattati nel suo nuovo saggio “Labirinti 1. Funzione e destrezza soggettiva tra scontato e cogito”?»
“Uno dei più grandi sbagli che tutti facciamo, me compreso, è quello di fermarci al visivo dell'apparente e questo ci porta, non solo a non prendere coscienza del soggetto umano come entità e identità assoluta, ma a usare i termini o parole a proprio uso e consumo. Il visivo apparente è quel qualcosa che, oltre a fuorviarci da una qualsiasi realtà, ci conduce allo scontato. O meglio, al ciò che noi crediamo e non a quel che reale è. È logico che un ragazzo in carrozzina, lo è perché le sue gambe non sono come dovrebbero essere, ma ciò non toglie che non si può muovere come gli altri. In questo piccolo esempio, abbiamo due termini 'Camminare' e 'Muoversi' che portano allo stesso risultato che sta nel poter raggiungere una metà. Lo stesso ragionamento o esempio, non lo possiamo fare o applicare su Funzione e Agilità, poiché come la prima, appartiene agli oggetti, la seconda, essendo sinonimo che raffigura o designa la gradualità dei nostri movimenti corporei o degli arti, se la prima, si può guastare o interrompere, la seconda, con il passar del tempo, è soggetta a limitazione. Una persona di settant'anni, non è agile come uno di diciotto, trenta. È normale questo. Ciò significa che l'agilità o normalità che noi diamo a un corpo umano, non combacia con la destrezza della persona, poiché come essa, appartiene a una singolarità di fare un qualcosa, quel qualcosa, non può essere raggiungibile se non c'è la volontà di trovare il modo per superare le proprie difficoltà o limitare il più possibile, le nostre limitazioni. Non è una mancanza o quasi totale agilità nei nostri movimenti che ci ostacola nel fare, ma la volontà e caparbietà di trovare il modo di come poter raggiungere quel determinato obiettivo o meta che ci rende fautori del nostro realizzarci. Siamo fonte originale del proprio fare, non atomi in funzione di un qualcosa.”
«“Labirinti 1. Funzione e destrezza soggettiva tra scontato e cogito”: un titolo complesso per un'opera profondamente filosofica, in cui lei si concentra su delle distinzioni importanti, che vanno ribadite e su cui bisogna riflettere. In particolar modo lei tratta della differenza tra Possibilità del fare e Destrezza soggettiva. Vuole parlarcene?»
“Io credo che sia l'agilità o funzionalità - come vogliamo a chiamarla -, delle gambe e delle braccia non hanno nulla in comune con la realizzazione di un se stesso, ma semplicemente per screditare la possibilità e creatività della persona e cioè, Funzione e Agilità. Questi due termini anche se nell'apparenza linguistica, uno può apparire sinonimo dell'altro, nella sostanza sono molto differenti tra loro e nulla hanno in comune con la realizzazione di un se stesso. Se mettessimo un po' d'attenzione sul significato di questi due termini o parole, ci accorgeremmo che si può parlare di funzionalità solo ed esclusivamente riguardo agli oggetti e non agli arti del nostro corpo. Sono gli oggetti che funzionano o non funzionano. Le nostre braccia, gambe, mani, possiedono una propria agilità che con tempo, - avanzamento dell'età -, diminuisce. E già qua, inciampiamo sul discorso delle limitazioni. Limitazioni le quali, per ragion di logica, vengono affrontate e sostenute con mezzi di transito, supporti e altro. Oltre a questo, non tutti abbiamo la fortuna di nascere con un corpo perfetto e perfettamente agile nei suoi movimenti e la cosa più brutta è quando si nasce senza una gamba un braccio, la vista ed è qui che nasce la genialità del soggetto persona che è quella di trovare il modo o metodo giusto per superare gli ostacoli, le limitazioni. Ad esempio, io non possiedo una perfetta agilità nelle mani e dato che fumo, ogni volta che devo accendermi la sigaretta, devo o dovrei chiedere il favore a qualcuno, ma noi abbiamo due mani. Con la sinistra lo 'impugno e con la destra, faccio il necessario per raggiungere lo scopo. Questo piccolo esempio ci dovrebbe far capire che non è l'agilità nei movimenti a permetterci o donarci la possibilità di far le cose, ma la nostra forza di volontà e caparbietà di trovare il modo o verso giusto per raggiungere lo scopo. Esistono molte persone non avendo le mani o le braccia, dipingono o scrivono con i piedi o la bocca? E quante senza gambe con l'ausilio o l'aiuto di protesi, fanno gare olimpiche? E quante, senza braccia, nuotano così perfettamente da partecipare o tutti gli stili di gare di nuoto? Le Paraolimpiadi di Parigi 2024, sono state un grande esempio che come la malattia si cura la disabilità si educa. Il terzo, è proprio questo: 'Credere in un se stesso', nelle proprie forze e sogni, poiché solo chi crede in un se stesso, da semplice disabile, come è sopranominato, può tramutarsi in una semplice persona che si auto crea e realizza. Le diverse abilità non esistono, poiché come ognuno ha un proprio pensiero, in egual misura a un personale modo di fare le cose. L'improntante è crederci”.
«Dalle sue parole: “Il mio motto o meglio 'Utopia infantile' fu sempre quello di credere e sostenere con fermezza che l'handicappato, oggi definito 'Diversamente abile', fosse una persona uguale alle altre, senza rendermi conto che il dramma peggiore non stava soltanto nel fatto che era proprio questo che volevano sentire tutti quelli che, attraverso un Cristo sofferente, ci usavano e continuano a usarci a proprio uso e consumo, ma principalmente il non capire che come ognuno di noi ha una propria autenticità nel pensare, agire e far le cose, in ugual misura è un se stesso, che solo attraverso il proprio sentire, provare, valutare, oltre a essere reso simile all'altro nel proprio bisogno d'amare ed essere amato, lo identifica come valore assoluto e, con ciò, ineguagliabile a qualunque altra persona”. Vuole approfondire questa sua interessante considerazione?»
“Ognuno di noi è soprattutto spirito. È Anima o meglio, sensazione, paura, speranza, dolore, sofferenza, passione, desiderio. Nessuno è immune dal proprio soffrire e non convivente con la propria solitudine interiore. Il credere che chi sia seduto su un trono a rotelle, cieco, sordo o altro, sia più sofferente di una persona apparentemente 'normale', non ha compreso che sotto l'aspetto del bisogno di considerazione, rispetto e quant'altro, siamo tutti uguali e senza differenza di quantità o qualità. Parlare di disabilità oggi, senza capire che si parla semplicemente di persone con diritti e doveri, significa non aver compreso che esiste una gran deformità tra uguaglianza e similitudine. Significa parlare solo di persone speciali che di speciale non hanno nulla perché come nati da un ventre materno, si è fonte di passioni, sensazioni, emozioni, traguardi da raggiungere e quant'altro. Colui che noi definiamo o identifichiamo disabile, non è dissimile, ma non abbastanza autonomo da autogestissi fisicamente. Il resto non ha senso, come non ha senso, chiamarlo 'persona speciale'. Anzi, questo fa comodo a molti per giustificare la propria indifferenza o forma per salvare o salvaguardare il proprio perbenismo. Il problema o difficoltà che noi abbiamo, riguardo all'identità umana, sta nel non aver capito che come persona si nasce limiti si possiedono. Se o fin quando non capiremo questo, saremo sempre costretti o guidati a confondere la similitudine con l'uguaglianza. L'unica e indiscutibile uguaglianza che noi abbiamo e che non si può cambiare o deformare, è la nostra venuta al mondo che sta tramite un padre e una madre. Il resto, anche se è in forma diversa, dato che la nostra originalità sta nel modo di pensare, agire e interagire con noi stessi e con gli altri e, principalmente, nel fare per poter raggiungere, è tutta similitudine. La nostra diversità sta nel fare le cose, nel camminare, parlare, pensare, non nei desideri, ambizioni, sogni, progetti, traguardi. Ciò significa che se sotto il punto di vista pratico e oggettivo, una disabilità fa la differenza tra l'essere autonomi e non esserlo, il desiderio, la volontà e caparbietà di volersi realizzare, ci accomuna con gli altri, sia sotto l'aspetto pratico sia sensitivo. Un sensitivo che si assimila agli altri, soprattutto del bisogno o meglio, stato di necessità d'amare per poter essere amati. È il credere alla disuguaglianza che ci rende curiosi e interessati a conoscere cosa c'è nell'animo dell'altro e prendere coscienza che siamo originalità nell'eterogeneità umana. L'ho capito troppo tardi e con ciò, devo chiedere solo scusa a me stesso”.
«I pregiudizi sui diversamente abili hanno condotto e possono condurre tutt'oggi a un isolamento che porta a perdersi in “dolorosi e tormentati labirinti”: da studioso e attento osservatore della condizione dei disabili in Italia, come giudica l'attuale situazione nel nostro Paese? Abbiamo compiuto dei passi verso la giusta direzione, verso l'integrazione e l'accettazione, o c'è ancora molto da fare?»
“I pregiudizi fanno parte del nostro visivo immaginario. Nessuno ne è immune. Fanno parte della natura umana. Io ne ho tanti. Sul volontariato come avete intuito, nei confronti della Chiesa, politica. Quel che è importante però, sta nel verificare per affermare se ciò che pensiamo o appare sia vero. Cosa questa che con il relativismo che c'è oggi, diventa sempre più difficile distinguere il vero dal falso. Riguardo alla sua domanda, bisogna ammettere che oggi siamo nell'oro, riguardo all'inserimento dei non sufficienti autonomi, con problemi linguistici o sordità, ma molto indietro con il resto dell'Europa. La Francia, il Portogallo e tanti altri Stati europei, sono molto più avanti di noi. Il problema che abbiamo in Italia, almeno nella maggior parte, è quello di interessarci di codesti soggetti, solo ed esclusivamente sotto forma di assistenzialismo e non come persone con le loro potenzialità, interessi e libertà di pensiero, problematiche sull'inserimento lavorativo e via dicendo. Però il 4 dicembre, siamo tutti uguali; tutti solidari. E dopo la Giornata Internazionale del disabile, alla quale io vedo come una parata, senza portiere e ricca di autogolo. Non capisco il perché dobbiamo aspettare il 4 dicembre dell'anno successivo per ricordarci che esistono persone con particolari destrezze, ma autenticamente simili alle altre con una loro identità e dignità civica e morale. Durante il racconto dei problemi e diritti dei lavoratori, io non ho mai sentito i sindacati, parlare di lavoratore con realtà fisiche o agilità motorie limitate o differenti dal comune. Nei nostri notiziari, si parla tanto dei diritti delle donne e dei pregiudizi o emarginazione dei disabili, ne parliamo solo quando sono picchiati o maltrattati nelle cose di cura, di risposo o quando fanno le Olimpiadi. Sono contro la violenza sulle donne e ho fatto molti articoli su questo argomento. Il mio pensiero, lo si possono trovare su internet, ma non accetto la diversità di trattamento. Siamo persone comuni, non da cronicizzare o prendere in considerazione quando fa comodo alla stampa o televisione. È stato meraviglioso e straordinario quello che ha fatto RAI2, riguardo alle Paraolimpiadi 2024 di Parigi. Una cronaca cosi ambia e diretta, non si era mai vista. Sempre su RAI2, Il venerdì, in terza serata (orario assurdo) con replica domnica mattina alle 9:45, vi è 'O perché no', Un programma condotto magistralmente dalla giornalista Paola Severini Melograni che abbraccia tutte le tematiche o difficoltà che abbracciano e riguardano le limitazioni oggettive del soggetto persona. Un programma fatto bene e con umiltà. Non ho mai capito il perché, un programma così serio e informativo, vada in onda nelle ore notturne. Nonostante l'orario, lo consiglio a tutti, soprattutto a coloro che devono o vogliono capire cosa significhi parlare semplicemente di persone e non di disabilità. La disabilità, è una realtà umana e come tale va considerata. Se non capiremo questo, mai saremo in grado di capire o prendere consapevolezza che il rispetto non serve a nulla se non è un consequenziale alla considerazione. Rispettare è facile e non costa nulla. È il considerare che ci induce a porci delle domande e siccome fa male mettersi di fronte alle proprie responsabilità e con ciò, lasciamo che l'occasione faccia l'uomo ladro”.
«Lei afferma: “L'immagine del buon samaritano è destinata a restale tale se al posto del sincero ascolto, c'è solo un sentire frivolo e commiserevole”; parole forti e significative. Vuole chiarire la sua posizione nei confronti del perbenismo esasperato e, spesso, finto, dilagante nella nostra società? Può fare addirittura più male dello stesso pregiudizio?»
“Purtroppo sì. Soprattutto se sei buono solo nel momento in cui, fai il volere altrui. Sia chiaro però che questo capita a tutti, non solo a me o a coloro che vivono in particolari condizioni o realtà. Dico questo perché serve anche un po' di obiettività e dire le cose come stanno se non si vuole scivolare in un discorso di parte. Il male del Volontariato è nato nel momento in cui è diventato un'istituzione. Ha perso, dal mio punto di vista, la semplicità e spontaneità delle persone, tramutandolo in un amore programmato per molti. Certo, non bisogna fare di tutta l'erba un fascio, ma io ho avuto molte brutte esperienze, anche a causa mia. Per molta gente, soprattutto in Calabria, e ripeto, sto parlando di alcune persone che fanno solo volontariato, semplicemente per trattarci come dei poveri Cristi, degli eterni sofferenti bisognosi d'affetto, e questo fa molto male, soprattutto nel momento in cui, ti accorgi che qualcosa non va e invece di chiarire, si son allontanati e persi. Sono momenti tremendi, pieni d'angoscia e sensi di colpa e ciò che è peggio sta nel fatto che nel momento in cui cerchi di ribellarti, ti dicono; "Ricordati cosa abbiamo fatto per te". Ecco a chi chiamo, senza riserve, falsi samaritani. Fa molto male, soprattutto quando ci mettono a canto a un altare, per metterci in mostra. Io ogni tanto vado a Messa, ma mi siedo dove c'è posto. Sono persona comune. STOP. Riguardo a Cristo sofferente, non faccio il nome dell'Associazione, perché è giusto non farlo, noi non abbiamo nulla in comune. Cristo ha sofferto a causa di coloro che l'hanno tradito e condannato, non perché era seduto su una carrozzina, cieco o zoppo. Scusa... Se non sbaglio è stato lui che ha detto alzati e cammina e se questo è vero, noi non siamo progetto di Dio ma a causa di sbagli medici, destino della natura, errori di sottovalutazioni a parto. Se così non forse, Gesù sarebbe ed è solo un personaggio letterario, creato da grandi romanzieri. Io non credo! Noi, non siamo né poveri cristi né bisognosi d'affetto. Siamo semplicemente persone perché nati da un ventre materno. Ecco perché il bene, non si dona, si costruisce insieme. Chi non lo capisce è vittima del suo perbenismo. Non abbiamo bisogno di volontà ma di stima reciproca, poiché, essere disabile non a nulla in comune con l'incoscienza di un proprio sé. Ripeto. Non di tutta l'erba un fascio. Anzi. Se sono arrivato dove sono arrivato, è grazie a molti di loro, ma non posso rinnegare me stesso con l'abbandono o l'annullamento del passato. Si certo. Anch'io ho usato gli altri per i miei scopi. Siamo tutti simili in questo, perché umani. Le colpe non sono mai di una parte sola. Perciò preferisco avere un dito puntato contro, piuttosto che essere compatito e allontanato senza conoscerne il motivo e potermi assumere le mie responsabilità morali e civili”.
«Nell'opera racconta una parte della sua esperienza personale come diversamente abile, dimostrando spesso gratitudine per il percorso intrapreso. A chi deve soprattutto dire grazie, oltre a lei stesso e alla sua grande forza e determinazione?»
“Sembra un paradosso, ma ai miei genitori prima di tutto. Paradosso perché nonostante il dolore, la sofferenza all'età di otto anni, mi ricoverarono in istituto e fu una fortuna per me. Io fino a dodici anni non camminai e in più, ebbi la possibilità di frequentare la scuola fino alla terza media. È grazie a loro se imparai a leggere e scrivere. Per il resto, sono autodidatta. Ritornai definitivamente a casa nel mese di giugno del 1979 e dall'ora devo ringraziare ed essere riconoscente a tantissima gente. Le persone che mi hanno aiutato a crearmi una mia identità, è un numero infinito e sinceramente mi trovo molto in difficoltà a risponderle. Inizio tutto nel 1981, 'Anno Internazionale dell'handicappato'. A quei tempi ci chiamavano così, ma io già scrivevo poesie e piccole relazioni. Uno di primi a prendermi in considerazione fu il preside della scuola media di Cessaniti, Giuseppe Mazza. M'invitava spesso nella sua scuola per parlare con gli alunni. Poi ne seguirono tanti altri presidi, alcuni di loro, mi hanno anche assunto come esperto esterno. La signora Maria Murmura, moglie del senatore Antonino Murmura e presidente dell'UNITALSI di Vibo che con Matilde Mortoro, mi diedero una mano per la divulgazione dei miei libri di poesie. A Giuseppina Morazzoni, meglio conosciuta come signorina Pucci, braccio destro di Giuseppe Mancini, proprietario dell'Hotel 501 di Vibo Valentia che mi permise di mettere i miei libri in esposizione, durante i congressi e altro, oltre al Villaggio Lido degli Aranci. Sono moltissime le persone che hanno creduto in me e mi hanno voluto bene, considerato e aiutato in tutti i modi. È impossibile ricordarli tutte. Il più grande collaboratore che veramente mi è stato vicino, fu Umberto Fiorillo, morto l'1 maggio 2018. Si è rivolto il trattore, mentre lavoravo in un piccolo terreno di sua proprietà. Lui non era un semplice amico ma più di un fratello. Era le mie braccia, le mie gambe. Era la mia autonomia. Nulla facevo senza di lui. In questi sessantasei anni, di cui, quarantaquattro, sono di attività sociale, - convegni, libri, dibattiti scolastici e quant'altro -, mi hanno fatto capire che puoi essere o sentirti quello che vuoi, ma resti sempre un nessuno, se il primo a sentirti solo e inferiore a chiunque altro sei tu. Io credo a me stesso e questo mi ha dato tanto. Un tanto che solo chi lo riceve sa quanto sia prezioso”.
«Nel saggio scrive: “Siamo tutti delle isole misteriose, in cui tutti sanno della nostra esistenza, ma non chi siamo e ciò che proviamo, giacché fa più comodo soffermarsi e giudicare l'apparente piuttosto che prendere coscienza che siamo tutti mistero racchiusi in un corpo e un corpo che non rappresenta nulla del suo mistero”. La sua precedente opera è la raccolta poetica “L'isola misteriosa”: vuole presentarla ai lettori?»
“Come ho ripetuto varie volte in questa nostra conversazione, noi non siamo solo corpo, materia, perché se cosi fosse, saremmo dei semplici atomi. Essere umano significa e rappresenta un Sentire, Provare, Desiderare, voglia e desiderio di Creare, Raggiungere, Sognare e chi più ne ha più ne metta. Tutte queste cose, sono racchiuse nel nostro corpo in un contenitore che si chiama Anima. In questo contenitore, vi è anche una voce che nonostante le sue urla, sofferenze, disperazioni, nessuno può udire e valutare, tranne il nostro provare, penare, sperare, sognare. Ecco che allora che da persone comuni che in apparenza socializziamo interagendo con gli altri, diventiamo improvvisamente un mistero racchiuso in se stesso di cui gli altri conoscono solo la parte oggettiva. Ecco perché... Ogni uomo è una figura; ogni uomo è un mistero, una lacrima, un sorriso. Di lui puoi vedere l'immagine del suo corpo puoi osservare il suo cammino, il suo pianto e le sue gioie, la sua diversità, se non sai leggere nei suoi occhi, onde puoi osservare il silenzio dell'anima e speranze del suo cuore. Che sofferente isola può essere l'animo umano, quando non è accettato, quando non è amato, quando la voce della sua anima si tramuta o trasforma in solitudine incompresa. Ogni essere umano, è come una grande isola misteriosa, che solo unendosi alle altre, può tramutarsi in fonte di comunicazione tra l'uomo e il suo umano. Siamo tutti disuguali, non dissimili”.
Contatti
https://www.rosariorito.it/
https://m.facebook.com/people/Rosario-RITO/100063749280498/
Link di vendita online
https://www.amazon.it/Labirinti-Funzione-destrezza-soggettiva-scontato/dp/B0CWM3R6TT
«Quali sono gli argomenti principali trattati nel suo nuovo saggio “Labirinti 1. Funzione e destrezza soggettiva tra scontato e cogito”?»
“Uno dei più grandi sbagli che tutti facciamo, me compreso, è quello di fermarci al visivo dell'apparente e questo ci porta, non solo a non prendere coscienza del soggetto umano come entità e identità assoluta, ma a usare i termini o parole a proprio uso e consumo. Il visivo apparente è quel qualcosa che, oltre a fuorviarci da una qualsiasi realtà, ci conduce allo scontato. O meglio, al ciò che noi crediamo e non a quel che reale è. È logico che un ragazzo in carrozzina, lo è perché le sue gambe non sono come dovrebbero essere, ma ciò non toglie che non si può muovere come gli altri. In questo piccolo esempio, abbiamo due termini 'Camminare' e 'Muoversi' che portano allo stesso risultato che sta nel poter raggiungere una metà. Lo stesso ragionamento o esempio, non lo possiamo fare o applicare su Funzione e Agilità, poiché come la prima, appartiene agli oggetti, la seconda, essendo sinonimo che raffigura o designa la gradualità dei nostri movimenti corporei o degli arti, se la prima, si può guastare o interrompere, la seconda, con il passar del tempo, è soggetta a limitazione. Una persona di settant'anni, non è agile come uno di diciotto, trenta. È normale questo. Ciò significa che l'agilità o normalità che noi diamo a un corpo umano, non combacia con la destrezza della persona, poiché come essa, appartiene a una singolarità di fare un qualcosa, quel qualcosa, non può essere raggiungibile se non c'è la volontà di trovare il modo per superare le proprie difficoltà o limitare il più possibile, le nostre limitazioni. Non è una mancanza o quasi totale agilità nei nostri movimenti che ci ostacola nel fare, ma la volontà e caparbietà di trovare il modo di come poter raggiungere quel determinato obiettivo o meta che ci rende fautori del nostro realizzarci. Siamo fonte originale del proprio fare, non atomi in funzione di un qualcosa.”
«“Labirinti 1. Funzione e destrezza soggettiva tra scontato e cogito”: un titolo complesso per un'opera profondamente filosofica, in cui lei si concentra su delle distinzioni importanti, che vanno ribadite e su cui bisogna riflettere. In particolar modo lei tratta della differenza tra Possibilità del fare e Destrezza soggettiva. Vuole parlarcene?»
“Io credo che sia l'agilità o funzionalità - come vogliamo a chiamarla -, delle gambe e delle braccia non hanno nulla in comune con la realizzazione di un se stesso, ma semplicemente per screditare la possibilità e creatività della persona e cioè, Funzione e Agilità. Questi due termini anche se nell'apparenza linguistica, uno può apparire sinonimo dell'altro, nella sostanza sono molto differenti tra loro e nulla hanno in comune con la realizzazione di un se stesso. Se mettessimo un po' d'attenzione sul significato di questi due termini o parole, ci accorgeremmo che si può parlare di funzionalità solo ed esclusivamente riguardo agli oggetti e non agli arti del nostro corpo. Sono gli oggetti che funzionano o non funzionano. Le nostre braccia, gambe, mani, possiedono una propria agilità che con tempo, - avanzamento dell'età -, diminuisce. E già qua, inciampiamo sul discorso delle limitazioni. Limitazioni le quali, per ragion di logica, vengono affrontate e sostenute con mezzi di transito, supporti e altro. Oltre a questo, non tutti abbiamo la fortuna di nascere con un corpo perfetto e perfettamente agile nei suoi movimenti e la cosa più brutta è quando si nasce senza una gamba un braccio, la vista ed è qui che nasce la genialità del soggetto persona che è quella di trovare il modo o metodo giusto per superare gli ostacoli, le limitazioni. Ad esempio, io non possiedo una perfetta agilità nelle mani e dato che fumo, ogni volta che devo accendermi la sigaretta, devo o dovrei chiedere il favore a qualcuno, ma noi abbiamo due mani. Con la sinistra lo 'impugno e con la destra, faccio il necessario per raggiungere lo scopo. Questo piccolo esempio ci dovrebbe far capire che non è l'agilità nei movimenti a permetterci o donarci la possibilità di far le cose, ma la nostra forza di volontà e caparbietà di trovare il modo o verso giusto per raggiungere lo scopo. Esistono molte persone non avendo le mani o le braccia, dipingono o scrivono con i piedi o la bocca? E quante senza gambe con l'ausilio o l'aiuto di protesi, fanno gare olimpiche? E quante, senza braccia, nuotano così perfettamente da partecipare o tutti gli stili di gare di nuoto? Le Paraolimpiadi di Parigi 2024, sono state un grande esempio che come la malattia si cura la disabilità si educa. Il terzo, è proprio questo: 'Credere in un se stesso', nelle proprie forze e sogni, poiché solo chi crede in un se stesso, da semplice disabile, come è sopranominato, può tramutarsi in una semplice persona che si auto crea e realizza. Le diverse abilità non esistono, poiché come ognuno ha un proprio pensiero, in egual misura a un personale modo di fare le cose. L'improntante è crederci”.
«Dalle sue parole: “Il mio motto o meglio 'Utopia infantile' fu sempre quello di credere e sostenere con fermezza che l'handicappato, oggi definito 'Diversamente abile', fosse una persona uguale alle altre, senza rendermi conto che il dramma peggiore non stava soltanto nel fatto che era proprio questo che volevano sentire tutti quelli che, attraverso un Cristo sofferente, ci usavano e continuano a usarci a proprio uso e consumo, ma principalmente il non capire che come ognuno di noi ha una propria autenticità nel pensare, agire e far le cose, in ugual misura è un se stesso, che solo attraverso il proprio sentire, provare, valutare, oltre a essere reso simile all'altro nel proprio bisogno d'amare ed essere amato, lo identifica come valore assoluto e, con ciò, ineguagliabile a qualunque altra persona”. Vuole approfondire questa sua interessante considerazione?»
“Ognuno di noi è soprattutto spirito. È Anima o meglio, sensazione, paura, speranza, dolore, sofferenza, passione, desiderio. Nessuno è immune dal proprio soffrire e non convivente con la propria solitudine interiore. Il credere che chi sia seduto su un trono a rotelle, cieco, sordo o altro, sia più sofferente di una persona apparentemente 'normale', non ha compreso che sotto l'aspetto del bisogno di considerazione, rispetto e quant'altro, siamo tutti uguali e senza differenza di quantità o qualità. Parlare di disabilità oggi, senza capire che si parla semplicemente di persone con diritti e doveri, significa non aver compreso che esiste una gran deformità tra uguaglianza e similitudine. Significa parlare solo di persone speciali che di speciale non hanno nulla perché come nati da un ventre materno, si è fonte di passioni, sensazioni, emozioni, traguardi da raggiungere e quant'altro. Colui che noi definiamo o identifichiamo disabile, non è dissimile, ma non abbastanza autonomo da autogestissi fisicamente. Il resto non ha senso, come non ha senso, chiamarlo 'persona speciale'. Anzi, questo fa comodo a molti per giustificare la propria indifferenza o forma per salvare o salvaguardare il proprio perbenismo. Il problema o difficoltà che noi abbiamo, riguardo all'identità umana, sta nel non aver capito che come persona si nasce limiti si possiedono. Se o fin quando non capiremo questo, saremo sempre costretti o guidati a confondere la similitudine con l'uguaglianza. L'unica e indiscutibile uguaglianza che noi abbiamo e che non si può cambiare o deformare, è la nostra venuta al mondo che sta tramite un padre e una madre. Il resto, anche se è in forma diversa, dato che la nostra originalità sta nel modo di pensare, agire e interagire con noi stessi e con gli altri e, principalmente, nel fare per poter raggiungere, è tutta similitudine. La nostra diversità sta nel fare le cose, nel camminare, parlare, pensare, non nei desideri, ambizioni, sogni, progetti, traguardi. Ciò significa che se sotto il punto di vista pratico e oggettivo, una disabilità fa la differenza tra l'essere autonomi e non esserlo, il desiderio, la volontà e caparbietà di volersi realizzare, ci accomuna con gli altri, sia sotto l'aspetto pratico sia sensitivo. Un sensitivo che si assimila agli altri, soprattutto del bisogno o meglio, stato di necessità d'amare per poter essere amati. È il credere alla disuguaglianza che ci rende curiosi e interessati a conoscere cosa c'è nell'animo dell'altro e prendere coscienza che siamo originalità nell'eterogeneità umana. L'ho capito troppo tardi e con ciò, devo chiedere solo scusa a me stesso”.
«I pregiudizi sui diversamente abili hanno condotto e possono condurre tutt'oggi a un isolamento che porta a perdersi in “dolorosi e tormentati labirinti”: da studioso e attento osservatore della condizione dei disabili in Italia, come giudica l'attuale situazione nel nostro Paese? Abbiamo compiuto dei passi verso la giusta direzione, verso l'integrazione e l'accettazione, o c'è ancora molto da fare?»
“I pregiudizi fanno parte del nostro visivo immaginario. Nessuno ne è immune. Fanno parte della natura umana. Io ne ho tanti. Sul volontariato come avete intuito, nei confronti della Chiesa, politica. Quel che è importante però, sta nel verificare per affermare se ciò che pensiamo o appare sia vero. Cosa questa che con il relativismo che c'è oggi, diventa sempre più difficile distinguere il vero dal falso. Riguardo alla sua domanda, bisogna ammettere che oggi siamo nell'oro, riguardo all'inserimento dei non sufficienti autonomi, con problemi linguistici o sordità, ma molto indietro con il resto dell'Europa. La Francia, il Portogallo e tanti altri Stati europei, sono molto più avanti di noi. Il problema che abbiamo in Italia, almeno nella maggior parte, è quello di interessarci di codesti soggetti, solo ed esclusivamente sotto forma di assistenzialismo e non come persone con le loro potenzialità, interessi e libertà di pensiero, problematiche sull'inserimento lavorativo e via dicendo. Però il 4 dicembre, siamo tutti uguali; tutti solidari. E dopo la Giornata Internazionale del disabile, alla quale io vedo come una parata, senza portiere e ricca di autogolo. Non capisco il perché dobbiamo aspettare il 4 dicembre dell'anno successivo per ricordarci che esistono persone con particolari destrezze, ma autenticamente simili alle altre con una loro identità e dignità civica e morale. Durante il racconto dei problemi e diritti dei lavoratori, io non ho mai sentito i sindacati, parlare di lavoratore con realtà fisiche o agilità motorie limitate o differenti dal comune. Nei nostri notiziari, si parla tanto dei diritti delle donne e dei pregiudizi o emarginazione dei disabili, ne parliamo solo quando sono picchiati o maltrattati nelle cose di cura, di risposo o quando fanno le Olimpiadi. Sono contro la violenza sulle donne e ho fatto molti articoli su questo argomento. Il mio pensiero, lo si possono trovare su internet, ma non accetto la diversità di trattamento. Siamo persone comuni, non da cronicizzare o prendere in considerazione quando fa comodo alla stampa o televisione. È stato meraviglioso e straordinario quello che ha fatto RAI2, riguardo alle Paraolimpiadi 2024 di Parigi. Una cronaca cosi ambia e diretta, non si era mai vista. Sempre su RAI2, Il venerdì, in terza serata (orario assurdo) con replica domnica mattina alle 9:45, vi è 'O perché no', Un programma condotto magistralmente dalla giornalista Paola Severini Melograni che abbraccia tutte le tematiche o difficoltà che abbracciano e riguardano le limitazioni oggettive del soggetto persona. Un programma fatto bene e con umiltà. Non ho mai capito il perché, un programma così serio e informativo, vada in onda nelle ore notturne. Nonostante l'orario, lo consiglio a tutti, soprattutto a coloro che devono o vogliono capire cosa significhi parlare semplicemente di persone e non di disabilità. La disabilità, è una realtà umana e come tale va considerata. Se non capiremo questo, mai saremo in grado di capire o prendere consapevolezza che il rispetto non serve a nulla se non è un consequenziale alla considerazione. Rispettare è facile e non costa nulla. È il considerare che ci induce a porci delle domande e siccome fa male mettersi di fronte alle proprie responsabilità e con ciò, lasciamo che l'occasione faccia l'uomo ladro”.
«Lei afferma: “L'immagine del buon samaritano è destinata a restale tale se al posto del sincero ascolto, c'è solo un sentire frivolo e commiserevole”; parole forti e significative. Vuole chiarire la sua posizione nei confronti del perbenismo esasperato e, spesso, finto, dilagante nella nostra società? Può fare addirittura più male dello stesso pregiudizio?»
“Purtroppo sì. Soprattutto se sei buono solo nel momento in cui, fai il volere altrui. Sia chiaro però che questo capita a tutti, non solo a me o a coloro che vivono in particolari condizioni o realtà. Dico questo perché serve anche un po' di obiettività e dire le cose come stanno se non si vuole scivolare in un discorso di parte. Il male del Volontariato è nato nel momento in cui è diventato un'istituzione. Ha perso, dal mio punto di vista, la semplicità e spontaneità delle persone, tramutandolo in un amore programmato per molti. Certo, non bisogna fare di tutta l'erba un fascio, ma io ho avuto molte brutte esperienze, anche a causa mia. Per molta gente, soprattutto in Calabria, e ripeto, sto parlando di alcune persone che fanno solo volontariato, semplicemente per trattarci come dei poveri Cristi, degli eterni sofferenti bisognosi d'affetto, e questo fa molto male, soprattutto nel momento in cui, ti accorgi che qualcosa non va e invece di chiarire, si son allontanati e persi. Sono momenti tremendi, pieni d'angoscia e sensi di colpa e ciò che è peggio sta nel fatto che nel momento in cui cerchi di ribellarti, ti dicono; "Ricordati cosa abbiamo fatto per te". Ecco a chi chiamo, senza riserve, falsi samaritani. Fa molto male, soprattutto quando ci mettono a canto a un altare, per metterci in mostra. Io ogni tanto vado a Messa, ma mi siedo dove c'è posto. Sono persona comune. STOP. Riguardo a Cristo sofferente, non faccio il nome dell'Associazione, perché è giusto non farlo, noi non abbiamo nulla in comune. Cristo ha sofferto a causa di coloro che l'hanno tradito e condannato, non perché era seduto su una carrozzina, cieco o zoppo. Scusa... Se non sbaglio è stato lui che ha detto alzati e cammina e se questo è vero, noi non siamo progetto di Dio ma a causa di sbagli medici, destino della natura, errori di sottovalutazioni a parto. Se così non forse, Gesù sarebbe ed è solo un personaggio letterario, creato da grandi romanzieri. Io non credo! Noi, non siamo né poveri cristi né bisognosi d'affetto. Siamo semplicemente persone perché nati da un ventre materno. Ecco perché il bene, non si dona, si costruisce insieme. Chi non lo capisce è vittima del suo perbenismo. Non abbiamo bisogno di volontà ma di stima reciproca, poiché, essere disabile non a nulla in comune con l'incoscienza di un proprio sé. Ripeto. Non di tutta l'erba un fascio. Anzi. Se sono arrivato dove sono arrivato, è grazie a molti di loro, ma non posso rinnegare me stesso con l'abbandono o l'annullamento del passato. Si certo. Anch'io ho usato gli altri per i miei scopi. Siamo tutti simili in questo, perché umani. Le colpe non sono mai di una parte sola. Perciò preferisco avere un dito puntato contro, piuttosto che essere compatito e allontanato senza conoscerne il motivo e potermi assumere le mie responsabilità morali e civili”.
«Nell'opera racconta una parte della sua esperienza personale come diversamente abile, dimostrando spesso gratitudine per il percorso intrapreso. A chi deve soprattutto dire grazie, oltre a lei stesso e alla sua grande forza e determinazione?»
“Sembra un paradosso, ma ai miei genitori prima di tutto. Paradosso perché nonostante il dolore, la sofferenza all'età di otto anni, mi ricoverarono in istituto e fu una fortuna per me. Io fino a dodici anni non camminai e in più, ebbi la possibilità di frequentare la scuola fino alla terza media. È grazie a loro se imparai a leggere e scrivere. Per il resto, sono autodidatta. Ritornai definitivamente a casa nel mese di giugno del 1979 e dall'ora devo ringraziare ed essere riconoscente a tantissima gente. Le persone che mi hanno aiutato a crearmi una mia identità, è un numero infinito e sinceramente mi trovo molto in difficoltà a risponderle. Inizio tutto nel 1981, 'Anno Internazionale dell'handicappato'. A quei tempi ci chiamavano così, ma io già scrivevo poesie e piccole relazioni. Uno di primi a prendermi in considerazione fu il preside della scuola media di Cessaniti, Giuseppe Mazza. M'invitava spesso nella sua scuola per parlare con gli alunni. Poi ne seguirono tanti altri presidi, alcuni di loro, mi hanno anche assunto come esperto esterno. La signora Maria Murmura, moglie del senatore Antonino Murmura e presidente dell'UNITALSI di Vibo che con Matilde Mortoro, mi diedero una mano per la divulgazione dei miei libri di poesie. A Giuseppina Morazzoni, meglio conosciuta come signorina Pucci, braccio destro di Giuseppe Mancini, proprietario dell'Hotel 501 di Vibo Valentia che mi permise di mettere i miei libri in esposizione, durante i congressi e altro, oltre al Villaggio Lido degli Aranci. Sono moltissime le persone che hanno creduto in me e mi hanno voluto bene, considerato e aiutato in tutti i modi. È impossibile ricordarli tutte. Il più grande collaboratore che veramente mi è stato vicino, fu Umberto Fiorillo, morto l'1 maggio 2018. Si è rivolto il trattore, mentre lavoravo in un piccolo terreno di sua proprietà. Lui non era un semplice amico ma più di un fratello. Era le mie braccia, le mie gambe. Era la mia autonomia. Nulla facevo senza di lui. In questi sessantasei anni, di cui, quarantaquattro, sono di attività sociale, - convegni, libri, dibattiti scolastici e quant'altro -, mi hanno fatto capire che puoi essere o sentirti quello che vuoi, ma resti sempre un nessuno, se il primo a sentirti solo e inferiore a chiunque altro sei tu. Io credo a me stesso e questo mi ha dato tanto. Un tanto che solo chi lo riceve sa quanto sia prezioso”.
«Nel saggio scrive: “Siamo tutti delle isole misteriose, in cui tutti sanno della nostra esistenza, ma non chi siamo e ciò che proviamo, giacché fa più comodo soffermarsi e giudicare l'apparente piuttosto che prendere coscienza che siamo tutti mistero racchiusi in un corpo e un corpo che non rappresenta nulla del suo mistero”. La sua precedente opera è la raccolta poetica “L'isola misteriosa”: vuole presentarla ai lettori?»
“Come ho ripetuto varie volte in questa nostra conversazione, noi non siamo solo corpo, materia, perché se cosi fosse, saremmo dei semplici atomi. Essere umano significa e rappresenta un Sentire, Provare, Desiderare, voglia e desiderio di Creare, Raggiungere, Sognare e chi più ne ha più ne metta. Tutte queste cose, sono racchiuse nel nostro corpo in un contenitore che si chiama Anima. In questo contenitore, vi è anche una voce che nonostante le sue urla, sofferenze, disperazioni, nessuno può udire e valutare, tranne il nostro provare, penare, sperare, sognare. Ecco che allora che da persone comuni che in apparenza socializziamo interagendo con gli altri, diventiamo improvvisamente un mistero racchiuso in se stesso di cui gli altri conoscono solo la parte oggettiva. Ecco perché... Ogni uomo è una figura; ogni uomo è un mistero, una lacrima, un sorriso. Di lui puoi vedere l'immagine del suo corpo puoi osservare il suo cammino, il suo pianto e le sue gioie, la sua diversità, se non sai leggere nei suoi occhi, onde puoi osservare il silenzio dell'anima e speranze del suo cuore. Che sofferente isola può essere l'animo umano, quando non è accettato, quando non è amato, quando la voce della sua anima si tramuta o trasforma in solitudine incompresa. Ogni essere umano, è come una grande isola misteriosa, che solo unendosi alle altre, può tramutarsi in fonte di comunicazione tra l'uomo e il suo umano. Siamo tutti disuguali, non dissimili”.
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