Filippo Zucchetti  racconta "Anita non deve piangere"

Filippo Zucchetti racconta "Anita non deve piangere"

Filippo Zucchetti è un cantautore che si distingue per la sua profonda riflessione sulla condizione umana e la ricerca dell'autenticità. Con un percorso artistico che intreccia esperienze personali e osservazioni del mondo contemporaneo, Filippo esplora tematiche universali, invitando l'ascoltatore a riscoprire la propria essenza dimenticata. Il suo nuovo singolo, "Anita non deve piangere", nasce da una necessità interiore di proteggere e liberare la parte più vera di noi stessi, quella spesso sepolta sotto strati di sovrastrutture sociali e culturali. Attraverso la sua musica, Filippo si propone di creare un viaggio emotivo capace di risvegliare le coscienze, trasformando le esperienze di vita in versi evocativi e significativi.
 
Ciao Filippo, benvenuto. Cosa ti ha spinto a scrivere “Anita non deve piangere”?
Grazie e un saluto a NightGuide. Credo che oggi l'essere umano possa definirsi come l'essere naturale più artificiale che esista. Questa affermazione evidenzia come, pur essendo esseri naturali, abbiamo dimenticato il nostro legame con la natura. Ci siamo circondati di sovrastrutture artificiali - credenze, religioni, ruoli sociali, regole, confini, nazioni, stati, ideologie, mode, aspettative, economie, ecc. - al punto che spesso non ci rendiamo nemmeno conto che, in natura, nulla di tutto questo esiste. Siamo attori, ciascuno con il proprio ruolo sociale, intenti a interpretare una parte. Di fatto, non siamo più veramente noi stessi. Stiamo male perché non siamo autentici; siamo ciò che ci viene detto di essere. Nascondiamo la nostra parte migliore, quella più pura, la nostra vera essenza, per diventare ciò che non siamo. Tutto questo genera squilibrio e tensione costante. A spingermi a scrivere questo brano è stata la necessità di liberare e, al tempo stesso, proteggere questa nostra parte meravigliosa: la più vera, pura e, purtroppo, dimenticata. Una parte che è stata seppellita, umiliata, resa muta e relegata in una stanza buia a prendere polvere. Questo nostro essere, a cui viene costantemente negata l'espressione, chiede in continuazione di “poter essere”.
 
Qual è il significato del titolo e perché hai scelto di utilizzare il nome “Anita”?
Il brano esplora concetti astratti come l'Anima, la Natura e la Vita, che ho voluto rappresentare in forma quasi umana. Attraverso una metafora costante e metamorfica, la forma si trasforma continuamente, fondendosi con la natura. Così, "gli argini delle tue guance" diventano un fiume, il pianto si trasforma in pioggia e grandine, e "all'ombra dei tuoi zigomi" evoca l'immagine di un albero, mentre "vederti sorgere e illuminare" richiama la forza del sole. In questo intreccio, Anima, Natura e Vita si fondono in un unico essere: ANITA.
 
Puoi parlarci del processo creativo dietro il brano? L'hai scritto veramente durante un viaggio in treno?
vevo scritto questa bella melodia e da tempo stava maturando in me l'idea di adattarvi un testo che parlasse della nostra parte divina, quella da proteggere e manifestare. Avevo l'idea e tanti appunti, ma mancava ancora il testo vero e proprio. Così decisi di sfruttare le 3 ore e 20 minuti del viaggio in treno da Perugia a Milano per iniziare a scrivere. Poteva non venirne fuori nulla, come è successo altre volte, ma quel 17 maggio 2018, invece, scrissi quasi completamente la bozza di quello che sarebbe poi diventato Anita non deve piangere. Conservo ancora i fogli del blocco su cui ho scritto, con una calligrafia al limite del leggibile, le frasi che compongono la canzone. Come ho già detto, le poco più di 3 ore impiegate per scrivere il testo sono solo la punta di un iceberg: anni di osservazione e analisi della vita, della società, e dell'esistere, tanti libri letti (e riletti), film visti (e rivisti), e una costante ricerca di un linguaggio personale.
 
Come descriveresti il viaggio emotivo che hai voluto rappresentare con questo singolo?
È una sorta di risveglio, un prendere consapevolezza di avere dentro di noi una parte “divina” - ma che non ha nulla a che fare con le religioni, che sono organizzazioni artificiali. Questa parte va protetta e lasciata libera di emergere.
 
Ci sono elementi autobiografici nella canzone? Se sì, quali?
È una canzone che parla di tutti noi, e quindi anche di me, che per anni ho dimenticato la mia "Anita" in fondo a quella stanza. Questo sì, è autobiografico.
 
Cosa rende questo brano particolarmente significativo per te?
È un brano che parla della difesa della nostra parte “divina,” e, grazie a questo brano, ho scoperto anche la mia. Credo che non possa esserci un brano più significativo di questo per me.
 
Come pensi che la tua musica possa influenzare il modo in cui le persone affrontano le loro emozioni?
Con l'empatia che credo si crei naturalmente ascoltando i miei testi in fusione con la melodia. Non uso artifici né tecniche mirate per ottenere un certo effetto sul pubblico. Scrivere canzoni per me è un atto puro, che va oltre qualsiasi meccanismo volto a compiacere l'ascoltatore. Il mio unico scopo è la realizzazione della canzone stessa; tutto il resto è solo una conseguenza.
 
Quali sono i tuoi progetti futuri dopo la pubblicazione di questo singolo? In bocca al lupo per tutto.
Nei prossimi mesi uscirà un altro singolo intitolato “L'uomo che non c'era,” con il quale sono in semifinale al Tour Music Fest, sia nella categoria Autori che in quella dei Cantautori. In seguito, ho in programma di pubblicare un album completo con 7-8 brani, accompagnato da un libretto in cui parlerò dei pezzi e del mio pensiero in generale.  Ovviamente poi, continuare a scrivere Canzoni. Vi saluto e vi ringrazio!
 

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